Dopo la caduta di Ben Alì ben poco è cambiato per la libertà di stampa. A sfidare il governo di Ennahda, ci sono radio “illegali” gestite dai giovani
di Beatrice Cati
Roma, 15 giugno 2013, Nena News - Sono passati ormai più di due anni dalla caduta del regime dittatoriale di Ben Alì in Tunisia, quel 14 gennaio 2011 che ha perentoriamente sancito la fine di una lunga parentesi storica caratterizzata dall’assoluto controllo del governo sul sistema di comunicazione locale. I media tradizionali, durante la rivoluzione, hanno continuato ad essere piegati alle regole del regime in un contesto viziato da vincoli e restrizioni, mentre gli attivisti della rete hanno ricoperto un ruolo fondamentale nel veicolare l’informazione.
Le immagini divulgate sul web grazie al “giornalismo cittadino” hanno permesso ai tunisini di scoprire l’altra faccia della medaglia e hanno spinto i media stranieri a ritrasmettere le informazioni, motivati dall’inconfutabilità di quelle testimonianze. Dopo la fuga di Ben Alì, lo scenario che si è prospettato in materia di libertà di stampa non sembra, tuttavia, essere cambiato e le promesse fatte tardano ad essere esaudite.
Una di queste è stata lanciata da AMARC, l’Associazione delle radio comunitarie mondiali, che nel marzo 2012 ha tenuto a Tunisi la sua conferenza, a sottolineare la volontà di far ripartire proprio dal Paese nordafricano le onde di libertà e le voci radiofoniche della nuova Tunisia. Un progetto che, però, non ha imboccato la strada giusta. La successiva ricostruzione dell’INRIC, Istanza Nazionale per la riforma dell’Informazione e della Comunicazione, attraverso un comitato di “saggi” per traghettare la legislazione sui media tunisini verso una nuova era, ha rappresentato un ulteriore tentativo per salvaguardare l’indipendenza dell’informazione.
“Il governo tunisino, e in particolare il partito Ennahda, teme la creazione di qualsiasi entità indipendente che possa mettere un freno alla sua ingerenza sui media”, ha dichiarato Kamel Labidi, presidente dell’Inric, che ha scelto di portare avanti la sua battaglia contro il governo chiudendo i battenti della sua associazione in segno di protesta. Basti pensare ai 130 casi di aggressione nei confronti dei giornalisti che si sono registrati in Tunisia soltanto nel 2012. Tra questi vi sono l’arresto del direttore del quotidiano Ettounsia per la pubblicazione di una foto giudicata oscena e il processo a Nessma Tv per aver trasmesso il film Persepolis di Marjane Satrapi.
L’Osservatorio del Centro di Tunisi per la Libertà di stampa ne ha inoltre denunciati 32 nel mese di febbraio 2013 e 16 a marzo. Dati che sono il segno tangibile della mancanza di chiarezza sia a livello costituzionale che giudiziario. Del resto, l’ascesa del partito islamista Ennahda (che ha un suo giornale di partito, Al Farj) ha provocato un ritorno al punto di partenza, attraverso l’imposizione dei consueti vincoli alla libertà di espressione. L’unica via di fuga dalla giungla della disinformazione è rappresentata dalle radio private, baluardo di tutti quelli che, nonostante l’incongruenza dei due concetti, vogliono ancora fare informazione libera.
Le stazioni pirata stanno infatti affollando sempre più il panorama mediatico del Paese nordafricano, prima fra tutte Radio Six. L’emittente è nata nel 2007 e ha iniziato a trasmettere da un tetto anonimo di Tunisi con un ricevitore di fortuna arrivato dalla Francia . Oggi conta venti dipendenti e uno studio in una villa posizionata a 140 metri sul livello del mare, ma Radio Six continua ad essere una stazione illegale.
“Il prezzo di una licenza per una radio locale come la nostra – spiega Salah Fourti, pioniere dell’etere – è di circa 50 mila euro all’anno, e il monopolio delle trasmissioni rimane nelle mani dello Stato”. Le proteste del Sindacato nazionale dei giornalisti tunisini continuano ad essere massicce e continue, ma ad oggi la situazione sembra ancora bloccata.
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