Adrian Salbuchi, RussiaToday, 2 settembre 2013 – CounterPsyops
Mentre il mondo trattiene il fiato, chiedendosi quando gli Stati Uniti e i loro alleati attaccheranno la Siria, i governi occidentali e i suoi ben oliati media mainstream sembrano ignorare un giocatore chiave rimasto stranamente silenzioso durante la crisi: Israele. Oggi, il potere degli Stati Uniti si basa pesantemente sul loro terrificante potere militare, il loro complesso industriale-finanziario e la loro influenza globale mediatica. Ma è un potere in rapida erosione, perché nell’era di internet il potere si basa sempre più su prestigio, credibilità e fiducia, settori in cui gli Stati Uniti sono a pezzi.
L’interventismo degli Stati Uniti è diventato fin troppo palese negli ultimi 20 anni. La guerra nei Balcani, alla fine degli anni ’90, con il bombardamento di Belgrado, ha allarmato soprattutto i Paesi non alleati, perché insieme alla guerra di Bush padre del 1991, è diventato chiaro che l’egemonia globale statunitense s’imponeva sul mondo intero, in particolare dopo l’uscita di scena dell’ex Unione Sovietica. Ma ciò che ha fatto lampeggiare subito l’allarme fu l’Iraq. Le false accuse di baby Bush sulle “armi di distruzione di massa”, come scuse per aggredire un intero Paese solo per poter “stanare” il suo scomodo ex-socio Saddam Hussein, erano palesemente oscene e dimostravano a molti che la potenza egemone globale statunitense era ufficialmente fuori controllo. Allora, gli USA avevano ancora la scusa degli orrendi attacchi dell’11/9 a New York e a Washington per giustificare il loro massiccio bellicismo. Ma la credibilità statunitense ebbe un forte calo quando George W. stesso ammise che: A) non vi era alcun legame tra il brutto e cattivo Saddam e Osama, il presumibilmente responsabile del 11/9 (ahimè non lo sapremo mai, perché Obama ha gettato in mare Osama…) e B) sicuramente, certamente ed inequivocabilmente non c’erano armi di distruzione di massa in Iraq… si aggiunga che aumentano le prove che l’11/9 possa essere stata una false flag… Quindi, gli USA hanno dovuto pianificare una nuova guerra, o meglio, un nuovo sistema per creare una guerra contro i suoi bersagli scelti, gli “Stati canaglia”. Bastava andare in TV e accusare questo o quel Paese di essere un “pericolo per la pace mondiale”, o che “non ha il tipo di democrazia che vogliamo vedere”, come Hillary Clinton disse durante la sua visita in Egitto lo scorso anno… No.
Qualcosa di nuovo doveva essere inventato: “La primavera araba”, nome in codice per istigare, innescare e pianificare la guerra civile nei Paesi oggetto, che poteva poi essere trasformata, se necessario, in una vera e propria guerra sociale, e se la leadership persisteva non cogliendo il messaggio e restando aggrappata al potere, allora Stati Uniti, Regno Unito, Israele e altre agenzie d’intelligence aumentavano il danno nazionale pianificando una vera e propria guerra civile, come in Libia, Siria, Egitto, Afghanistan, Iraq…
Per pianificare guerre in tutto il Medio Oriente, è fondamentalmente necessario:
A) identificare i “combattenti per la libertà”, per lo più criminali, terroristi, guerriglieri, soldati di ventura e un vasto assortimento di mercenari violenti;
B) armarli con armi letali sofisticate (ma non troppo), finanziarli per assicurarsi che facciano quello che vogliono nel Paese preso a bersaglio, e
C) scatenarli sulle città di Egitto, Libia, Siria e altrove, proprio come hanno fatto (e ancora fanno) in Iraq.
E se tutto questo non funziona, basta ordinare a diverse squadriglie di caccia della NATO di bombardare il luogo maledetto, facendolo in mille pezzi e fornendo intelligence satellitare ai “combattenti per la libertà” locali, in modo che possano eseguire operazioni hollywoodiane, come ad esempio l’assassinio in diretta TV di Muammar Gheddafi e della sua famiglia, accompagnati da una Hillary Clinton che ridacchia sulla CBS TV. Ma il caso della Siria è diverso. Gli USA non potranno più gettare fumo negli occhi del Mondo. Settori crescenti della comunità internazionale capiscono che quelle bande di assassini violenti, stupratori e criminali, i freedom fighters siriani, sono stati armati, addestrati, finanziati e mediaticamente supportati al massimo dagli Stati Uniti e dai loro alleati.
Il reparto trucchi sporchi degli USA esplode entusiasta da quando cerca di attribuire i recenti attacchi chimici al governo di Bashar al-Assad, ma tutto ciò ottiene scarsissima credibilità. Il buon senso impone che sarebbe un suicidio, per il Presidente Bashar Assad, uccidere i civili, tra cui bambini, in un quartiere di Damasco, quando i suoi veri nemici sono i terroristi filo-occidentali e i delinquenti che cercano di occupare il Paese. Perché Assad darebbe ai suoi nemici la “scusa perfetta” per un attacco contro la Siria? Il buon senso ci dice che Assad sicuramente dice la verità quando accusa quegli stessi terroristi dell’attacco “false flag”, per portare la NATO dalla loro parte, con i suoi jet, bombe a grappolo e napalm. Ogni volta che sentiamo parlare di questi terribili attacchi terroristici, dobbiamo capire due questioni fondamentali: 1) chi beneficia di tali attacchi, e 2) seguire la pista dei soldi…
Oggi, la credibilità degli USA, la loro fiducia e il loro prestigio sono caduti così in basso che perfino il Parlamento inglese ha sconfessato qualsiasi intervento armato da parte del Regno Unito, almeno fino a quando l’ONU o qualche entità indipendente e veramente affidabile, sfornerà prove inconfutabili su chi ha perpetrato le odiose atrocità chimiche in Siria della settimana scorsa. Così, David Cameron non può che agire in “modalità barboncino” di Obama, come il suo predecessore Tony Blair obbediva a George W., per l’Iraq, dieci anni fa. Ma diamo un’occhiata a tre fattori che mancano all’analisi sulla crisi siriana:
L’interventismo degli Stati Uniti è diventato fin troppo palese negli ultimi 20 anni. La guerra nei Balcani, alla fine degli anni ’90, con il bombardamento di Belgrado, ha allarmato soprattutto i Paesi non alleati, perché insieme alla guerra di Bush padre del 1991, è diventato chiaro che l’egemonia globale statunitense s’imponeva sul mondo intero, in particolare dopo l’uscita di scena dell’ex Unione Sovietica. Ma ciò che ha fatto lampeggiare subito l’allarme fu l’Iraq. Le false accuse di baby Bush sulle “armi di distruzione di massa”, come scuse per aggredire un intero Paese solo per poter “stanare” il suo scomodo ex-socio Saddam Hussein, erano palesemente oscene e dimostravano a molti che la potenza egemone globale statunitense era ufficialmente fuori controllo. Allora, gli USA avevano ancora la scusa degli orrendi attacchi dell’11/9 a New York e a Washington per giustificare il loro massiccio bellicismo. Ma la credibilità statunitense ebbe un forte calo quando George W. stesso ammise che: A) non vi era alcun legame tra il brutto e cattivo Saddam e Osama, il presumibilmente responsabile del 11/9 (ahimè non lo sapremo mai, perché Obama ha gettato in mare Osama…) e B) sicuramente, certamente ed inequivocabilmente non c’erano armi di distruzione di massa in Iraq… si aggiunga che aumentano le prove che l’11/9 possa essere stata una false flag… Quindi, gli USA hanno dovuto pianificare una nuova guerra, o meglio, un nuovo sistema per creare una guerra contro i suoi bersagli scelti, gli “Stati canaglia”. Bastava andare in TV e accusare questo o quel Paese di essere un “pericolo per la pace mondiale”, o che “non ha il tipo di democrazia che vogliamo vedere”, come Hillary Clinton disse durante la sua visita in Egitto lo scorso anno… No.
Qualcosa di nuovo doveva essere inventato: “La primavera araba”, nome in codice per istigare, innescare e pianificare la guerra civile nei Paesi oggetto, che poteva poi essere trasformata, se necessario, in una vera e propria guerra sociale, e se la leadership persisteva non cogliendo il messaggio e restando aggrappata al potere, allora Stati Uniti, Regno Unito, Israele e altre agenzie d’intelligence aumentavano il danno nazionale pianificando una vera e propria guerra civile, come in Libia, Siria, Egitto, Afghanistan, Iraq…
Per pianificare guerre in tutto il Medio Oriente, è fondamentalmente necessario:
A) identificare i “combattenti per la libertà”, per lo più criminali, terroristi, guerriglieri, soldati di ventura e un vasto assortimento di mercenari violenti;
B) armarli con armi letali sofisticate (ma non troppo), finanziarli per assicurarsi che facciano quello che vogliono nel Paese preso a bersaglio, e
C) scatenarli sulle città di Egitto, Libia, Siria e altrove, proprio come hanno fatto (e ancora fanno) in Iraq.
E se tutto questo non funziona, basta ordinare a diverse squadriglie di caccia della NATO di bombardare il luogo maledetto, facendolo in mille pezzi e fornendo intelligence satellitare ai “combattenti per la libertà” locali, in modo che possano eseguire operazioni hollywoodiane, come ad esempio l’assassinio in diretta TV di Muammar Gheddafi e della sua famiglia, accompagnati da una Hillary Clinton che ridacchia sulla CBS TV. Ma il caso della Siria è diverso. Gli USA non potranno più gettare fumo negli occhi del Mondo. Settori crescenti della comunità internazionale capiscono che quelle bande di assassini violenti, stupratori e criminali, i freedom fighters siriani, sono stati armati, addestrati, finanziati e mediaticamente supportati al massimo dagli Stati Uniti e dai loro alleati.
Il reparto trucchi sporchi degli USA esplode entusiasta da quando cerca di attribuire i recenti attacchi chimici al governo di Bashar al-Assad, ma tutto ciò ottiene scarsissima credibilità. Il buon senso impone che sarebbe un suicidio, per il Presidente Bashar Assad, uccidere i civili, tra cui bambini, in un quartiere di Damasco, quando i suoi veri nemici sono i terroristi filo-occidentali e i delinquenti che cercano di occupare il Paese. Perché Assad darebbe ai suoi nemici la “scusa perfetta” per un attacco contro la Siria? Il buon senso ci dice che Assad sicuramente dice la verità quando accusa quegli stessi terroristi dell’attacco “false flag”, per portare la NATO dalla loro parte, con i suoi jet, bombe a grappolo e napalm. Ogni volta che sentiamo parlare di questi terribili attacchi terroristici, dobbiamo capire due questioni fondamentali: 1) chi beneficia di tali attacchi, e 2) seguire la pista dei soldi…
Oggi, la credibilità degli USA, la loro fiducia e il loro prestigio sono caduti così in basso che perfino il Parlamento inglese ha sconfessato qualsiasi intervento armato da parte del Regno Unito, almeno fino a quando l’ONU o qualche entità indipendente e veramente affidabile, sfornerà prove inconfutabili su chi ha perpetrato le odiose atrocità chimiche in Siria della settimana scorsa. Così, David Cameron non può che agire in “modalità barboncino” di Obama, come il suo predecessore Tony Blair obbediva a George W., per l’Iraq, dieci anni fa. Ma diamo un’occhiata a tre fattori che mancano all’analisi sulla crisi siriana:
1) Israele
Dalle due guerre del Golfo, gli USA hanno combattuto guerre per conto degli israeliani. Nel caso dell’invasione del 2003 e della distruzione dell’Iraq, ciò era così evidente che gli stessi neocon nel 1996-97 pianificarono la guerra contro l’Iraq, secondo il loro think-tank “Progetto per un Nuovo Secolo Americano (PNAC)”, Paul Wolfowitz, Richard Perle, Dick Cheney, Condoleezza Rice, Bush, Douglas Feith, David Wormser e altri, che avrebbero poi eseguito con la guerra del 2003, da alti funzionari del regime di George W. Bush. La ragione principale: Saddam Hussein era allora la più grande minaccia al “favorito alleato democratico”, Israele. Molti di quei neocon, Douglas Feith, David Wormser, Richard Perle e altri bushiti, si erano già spinti, nel 1996, a preparare un rapporto strategico per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, chiamato “A Clean Break: Una nuova strategia per la protezione del reame” che, ancora una volta, indicava l’Iraq quale nemico fondamentale di Israele in quel momento. Così, la guerra in Iraq fu in gran parte una guerra per procura che avvantaggiò solo Israele, divenendo un’afflizione enorme per gli USA, che vi perse migliaia di loro figli. Come l’ex primo ministro della Malesia, Mahathir bin Mohammed, una volta sottolineò: “Gli ebrei governano il mondo per procura. Mandano gli altri a combattere e a morire per loro.”
Dalle due guerre del Golfo, gli USA hanno combattuto guerre per conto degli israeliani. Nel caso dell’invasione del 2003 e della distruzione dell’Iraq, ciò era così evidente che gli stessi neocon nel 1996-97 pianificarono la guerra contro l’Iraq, secondo il loro think-tank “Progetto per un Nuovo Secolo Americano (PNAC)”, Paul Wolfowitz, Richard Perle, Dick Cheney, Condoleezza Rice, Bush, Douglas Feith, David Wormser e altri, che avrebbero poi eseguito con la guerra del 2003, da alti funzionari del regime di George W. Bush. La ragione principale: Saddam Hussein era allora la più grande minaccia al “favorito alleato democratico”, Israele. Molti di quei neocon, Douglas Feith, David Wormser, Richard Perle e altri bushiti, si erano già spinti, nel 1996, a preparare un rapporto strategico per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, chiamato “A Clean Break: Una nuova strategia per la protezione del reame” che, ancora una volta, indicava l’Iraq quale nemico fondamentale di Israele in quel momento. Così, la guerra in Iraq fu in gran parte una guerra per procura che avvantaggiò solo Israele, divenendo un’afflizione enorme per gli USA, che vi perse migliaia di loro figli. Come l’ex primo ministro della Malesia, Mahathir bin Mohammed, una volta sottolineò: “Gli ebrei governano il mondo per procura. Mandano gli altri a combattere e a morire per loro.”
2) Israele
Il ruolo eccessivo e travolgente che il sionismo gioca nella politica, nella finanza, nelle università, nei media statunitensi, tra cui l”industria dell’intrattenimento” di Hollywood, e nella politica estera statunitense, è del tutto provato. La questione fondamentale oggi è al centro di un dibattito sempre più ampio nell’intellighenzia statunitense, ovviamente taciuto sui media mainstream. Una delle sue pietre miliari la posero due prestigiosi accademici statunitensi, Stephen Walt, ex-preside della John F. Kennedy School of Government della Harvard University, e il suo collega John Mearsheimer, professore di Scienze Politiche presso l’Università di Chicago, che pubblicarono un libro rivoluzionario: “La lobby israeliana e la politica estera degli Stati Uniti”, nel 2007. In esso, mostrano in maniera molto convincente e ben documentata la lunga portata e la potente influenza che la lobby “Israele prima di tutto” esercita sui media, le banche, il Congresso, il dipartimento di Stato e il Pentagono statunitensi, per cui è sistematicamente in grado di far pendere la bilancia a favore d’Israele, non importa quale ne sia il costo. Non importa se sia giusto o sbagliato. E il costo per gli USA è stato estremamente caro per il loro interesse nazionale. Qui si trova una delle radici della grande mancanza di rispetto, diffidenza e persino di odio che crescenti settori dell’opinione pubblica mondiale sentono verso gli Stati Uniti ed i loro alleati chiave.
Il ruolo eccessivo e travolgente che il sionismo gioca nella politica, nella finanza, nelle università, nei media statunitensi, tra cui l”industria dell’intrattenimento” di Hollywood, e nella politica estera statunitense, è del tutto provato. La questione fondamentale oggi è al centro di un dibattito sempre più ampio nell’intellighenzia statunitense, ovviamente taciuto sui media mainstream. Una delle sue pietre miliari la posero due prestigiosi accademici statunitensi, Stephen Walt, ex-preside della John F. Kennedy School of Government della Harvard University, e il suo collega John Mearsheimer, professore di Scienze Politiche presso l’Università di Chicago, che pubblicarono un libro rivoluzionario: “La lobby israeliana e la politica estera degli Stati Uniti”, nel 2007. In esso, mostrano in maniera molto convincente e ben documentata la lunga portata e la potente influenza che la lobby “Israele prima di tutto” esercita sui media, le banche, il Congresso, il dipartimento di Stato e il Pentagono statunitensi, per cui è sistematicamente in grado di far pendere la bilancia a favore d’Israele, non importa quale ne sia il costo. Non importa se sia giusto o sbagliato. E il costo per gli USA è stato estremamente caro per il loro interesse nazionale. Qui si trova una delle radici della grande mancanza di rispetto, diffidenza e persino di odio che crescenti settori dell’opinione pubblica mondiale sentono verso gli Stati Uniti ed i loro alleati chiave.
3) Israele
Il problema del presidente Barack Obama in questo momento, è che la struttura militare statunitense è ben consapevole della posta in gioco in un qualsiasi “attacco preventivo” contro la Siria e, molto più importante, contro l’Iran. L’intervento contro uno o entrambi i Paesi, senza dubbio, porterà a una grande guerra in Medio Oriente. Guardate la mappa: la Siria e l’Iran si trovano esattamente all’interno della vitale sfera d’interesse geopolitico della Russia, che è già sotto una pesante invasione occidentale. Leggete le labbra, la Russia dice: “Non un passo avanti!” Gli USA farebbero bene a pensarci due o tre volte prima di fare qualcosa di avventato… Ma ecco il problema: da quando Israele è stato cacciato dal sud del Libano, nel luglio 2006, dalle forze ben armate e addestrate (da Iran e Russia) di Hezbollah, comandata da Nasrallah, Israele si lecca le ferite e vendetta ed oscuro furore bruciano nel cuore del sionismo. Da quando Bibi Netanyahu è tornato al potere, nel 2011, Israele è in modalità da guerra preventiva, utilizzando l’inesistente programma nucleare iraniano come pretesto. Per questo, negli ultimi quattro o cinque anni, Israele ha minacciato l’Iran di un attacco militare quasi ogni giorno, con Washington, Londra e Parigi nervosamente obbligati…
L’esercito statunitense, però, è dolorosamente consapevole che c’è una parte di verità nelle parole dell’ex Primo ministro Mahathir. Non vuole combattere un’altra guerra israeliana, questa volta in Iran. Così, frena riflettendo la crescente “cautela” di Obama riguardo l’Iran, arrivando al punto d’inviare i suoi vertici militari in Israele a calmare Netanyahu, cercando di assicurarsi che Israele non lanci un “attacco preventivo” unilaterale contro l’Iran, che trascinerebbe gli Stati Uniti in un enorme conflitto in Medio Oriente, i cui risultati sarebbero tutt’altro che chiari. In realtà, una sconfitta di USA-UK in Medio Oriente potrebbe benissimo significare l’inizio della fine degli USA come superpotenza globale. Russia (e Cina) si oppongono con forza sul Medio Oriente… Non tentennano… La strategia militare degli Stati Uniti dice che se la Casa Bianca deve attaccare l’Iran, deve prima eliminare la Siria. Almeno questo sembra essere la promessa degli USA per tenere a bada i cani della guerra di Netanyahu. Ma le settimane sono diventate mesi, i mesi anni e i sionisti in Israele, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e altrove sono sempre terribilmente impazienti. Vogliono che il loro D-Day sia adesso! Se la strada per Teheran deve passare per Damasco, allora gli USA colpiscano Damasco ora!
Per tre anni gli Stati Uniti hanno pianificato la guerra civile della “primavera araba” in Siria, ma Bashar Assad è ancora lì. E la Russia è con lui. Un voto unanime del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite contro la Siria non è più un’opzione. Il Parlamento della Gran Bretagna ha appena detto di no a David Cameron, e il sostegno del presidente francese Hollande agli Stati Uniti manca di peso: purtroppo per i francesi, sono passati decenni da quando la Francia poteva decidere il risultato di una guerra, ovunque… Ora, molti nel Congresso degli Stati Uniti mugugnano…
Quindi, signor “CEO” degli Stati Uniti d’America Barack Obama: tocca a voi ora! Quindi, o attacchi la Siria oggi, adesso, avendo il plauso unanime dei sionisti d’Israele, del Congresso, delle banche e dei mercati globali, dei media mainstream di tutto il mondo, o desisti e il vostro prestigio, “signor Presidente”, finisce nello sciacquone. Sarà il vostro un bluff. E un presidente che bluffa non è un presidente per nulla. Putin lo sa fin troppo bene, ed è per questo che mantiene una potente flotta russa ad incrociare nelle acque del Mediterraneo al largo delle coste della Siria…
Ancora una volta, vergognatevi USA! Siete finiti in un altro bel pasticcio del cavallo di Troia israeliano…!
Il problema del presidente Barack Obama in questo momento, è che la struttura militare statunitense è ben consapevole della posta in gioco in un qualsiasi “attacco preventivo” contro la Siria e, molto più importante, contro l’Iran. L’intervento contro uno o entrambi i Paesi, senza dubbio, porterà a una grande guerra in Medio Oriente. Guardate la mappa: la Siria e l’Iran si trovano esattamente all’interno della vitale sfera d’interesse geopolitico della Russia, che è già sotto una pesante invasione occidentale. Leggete le labbra, la Russia dice: “Non un passo avanti!” Gli USA farebbero bene a pensarci due o tre volte prima di fare qualcosa di avventato… Ma ecco il problema: da quando Israele è stato cacciato dal sud del Libano, nel luglio 2006, dalle forze ben armate e addestrate (da Iran e Russia) di Hezbollah, comandata da Nasrallah, Israele si lecca le ferite e vendetta ed oscuro furore bruciano nel cuore del sionismo. Da quando Bibi Netanyahu è tornato al potere, nel 2011, Israele è in modalità da guerra preventiva, utilizzando l’inesistente programma nucleare iraniano come pretesto. Per questo, negli ultimi quattro o cinque anni, Israele ha minacciato l’Iran di un attacco militare quasi ogni giorno, con Washington, Londra e Parigi nervosamente obbligati…
L’esercito statunitense, però, è dolorosamente consapevole che c’è una parte di verità nelle parole dell’ex Primo ministro Mahathir. Non vuole combattere un’altra guerra israeliana, questa volta in Iran. Così, frena riflettendo la crescente “cautela” di Obama riguardo l’Iran, arrivando al punto d’inviare i suoi vertici militari in Israele a calmare Netanyahu, cercando di assicurarsi che Israele non lanci un “attacco preventivo” unilaterale contro l’Iran, che trascinerebbe gli Stati Uniti in un enorme conflitto in Medio Oriente, i cui risultati sarebbero tutt’altro che chiari. In realtà, una sconfitta di USA-UK in Medio Oriente potrebbe benissimo significare l’inizio della fine degli USA come superpotenza globale. Russia (e Cina) si oppongono con forza sul Medio Oriente… Non tentennano… La strategia militare degli Stati Uniti dice che se la Casa Bianca deve attaccare l’Iran, deve prima eliminare la Siria. Almeno questo sembra essere la promessa degli USA per tenere a bada i cani della guerra di Netanyahu. Ma le settimane sono diventate mesi, i mesi anni e i sionisti in Israele, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e altrove sono sempre terribilmente impazienti. Vogliono che il loro D-Day sia adesso! Se la strada per Teheran deve passare per Damasco, allora gli USA colpiscano Damasco ora!
Per tre anni gli Stati Uniti hanno pianificato la guerra civile della “primavera araba” in Siria, ma Bashar Assad è ancora lì. E la Russia è con lui. Un voto unanime del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite contro la Siria non è più un’opzione. Il Parlamento della Gran Bretagna ha appena detto di no a David Cameron, e il sostegno del presidente francese Hollande agli Stati Uniti manca di peso: purtroppo per i francesi, sono passati decenni da quando la Francia poteva decidere il risultato di una guerra, ovunque… Ora, molti nel Congresso degli Stati Uniti mugugnano…
Quindi, signor “CEO” degli Stati Uniti d’America Barack Obama: tocca a voi ora! Quindi, o attacchi la Siria oggi, adesso, avendo il plauso unanime dei sionisti d’Israele, del Congresso, delle banche e dei mercati globali, dei media mainstream di tutto il mondo, o desisti e il vostro prestigio, “signor Presidente”, finisce nello sciacquone. Sarà il vostro un bluff. E un presidente che bluffa non è un presidente per nulla. Putin lo sa fin troppo bene, ed è per questo che mantiene una potente flotta russa ad incrociare nelle acque del Mediterraneo al largo delle coste della Siria…
Ancora una volta, vergognatevi USA! Siete finiti in un altro bel pasticcio del cavallo di Troia israeliano…!
Adrian Salbuchi è un analista politico, autore, speaker e commentatore radio/TV in Argentina.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
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