Foto: web
Quindici operazioni di “scarico” tra il 1960 e il 1982 a prezzi stracciati: 8 dollari la tonnellata. Prima di essere affondati, i rifiuti radioattivi belgi e di altre centrali olandesi e svizzere, venivano “tombati” nel calcestruzzo
Mentre in Italia si continua a discutere sul ruolo dei passati governi nel business dello smaltimento illecito dei rifiuti tossici e radioattivi, in Belgio la società Electrabel (il maggiore produttore di energia del Benelux) ha confermato alla Sottocommissione per la Sicurezza Nucleare della Camera di essersi sbarazzata di molte tonnellate di scorie nucleari colandole a picco nell’Oceano Atlantico.
Si trattava, secondo quanto riferisce il sito DH.BE, di materiale «debolmente radioattivo» proveniente dalle centrali nucleari di Doel, Tihange, Dessel e Olen, nonché dal Centro studi per l’energia nucleare. Ben quindici operazioni di scarico nell’oceano sarebbero state portate a termine dal Belgio tra il 1960 e il 1982.
Prima di essere affondati, i rifiuti nucleari belgi e quelli prodotti da altre centrali olandesi e svizzere, venivano tombati nel calcestruzzo, una tecnica che certo non rassicura sulle conseguenze provocate dall’inevitabile deterioramento dei contenitori.
Secondo il deputato verde Kristof Calvo, tra il 1976 e il 1982, il Belgio avrebbe smaltito scorie radioattive in sei differenti zone dell’Oceano Atlantico.
Le discariche nucleari sottomarine
Per quasi cinquant’anni, dal 1946 al 1993, quattordici nazioni hanno usato i mari e gli oceani per liberarsi dei rifiuti nucleati. Urss, Usa, Belgio, Francia, Germania, Italia, Olanda, Svezia, Svizzera, Regno Unito, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Sud hanno affondato in totale circa 982.394 m3 di rifiuti.
Si trattava, secondo quanto riferisce il sito DH.BE, di materiale «debolmente radioattivo» proveniente dalle centrali nucleari di Doel, Tihange, Dessel e Olen, nonché dal Centro studi per l’energia nucleare. Ben quindici operazioni di scarico nell’oceano sarebbero state portate a termine dal Belgio tra il 1960 e il 1982.
Prima di essere affondati, i rifiuti nucleari belgi e quelli prodotti da altre centrali olandesi e svizzere, venivano tombati nel calcestruzzo, una tecnica che certo non rassicura sulle conseguenze provocate dall’inevitabile deterioramento dei contenitori.
Secondo il deputato verde Kristof Calvo, tra il 1976 e il 1982, il Belgio avrebbe smaltito scorie radioattive in sei differenti zone dell’Oceano Atlantico.
Le discariche nucleari sottomarine
Per quasi cinquant’anni, dal 1946 al 1993, quattordici nazioni hanno usato i mari e gli oceani per liberarsi dei rifiuti nucleati. Urss, Usa, Belgio, Francia, Germania, Italia, Olanda, Svezia, Svizzera, Regno Unito, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Sud hanno affondato in totale circa 982.394 m3 di rifiuti.
Le discariche nucleari sottomarine
Il primato assoluto spetta all’ex Unione Sovietica che da sola ha smaltito 39.243 m3 di scorie in 20 siti nell’Artico e in 12 nell’Oceano Pacifico. L’esempio più preoccupante si trova nel Mare di Kara, una porzione del Mare Glaciale Artico, dove la corsa agli armamenti portata avanti dall’Unione Sovietica durante la Guerra Fredda ha lasciato una pesante eredità: 17.000 fusti di rifiuti radioattivi, 19 navi contenenti rifiuti tossici, quattordici reattori nucleari (di cui cinque contenenti combustibile nucleare esausto), 700 pezzi di armamenti contaminati e addirittura un sottomarino nucleare con i suoi due reattori.
Dal 1993 lo smaltimento in mare dei rifiuti nucleari è vietato dai trattati internazionali (Convenzione di Londra; Convenzione di Basilea; MARPOL 73/78), eppure secondo le Nazioni Unite alcune aziende occidentali hanno continuato anche successivamente a disfarsi dell’immondizia radioattiva e di altri materiali pericolosi nelle acque antistanti la Somalia. Approfittando del periodo di profonda anarchia vissuto dal paese nei primi anni ’90, sono stati affondati in quel tratto di Oceano Indiano centinaia di bidoni d’acciaio pieni di rifiuti speciali di ogni genere.Il tutto a prezzi stracciati: solo 8 dollari la tonnellata (ma c’è anche chi parla addirittura di 2,5 dollari…), quando il costo di smaltimento in Europa sarebbe potuto arrivare fino a 1000 dollari. Un affare colossale che ha trasformato il paese africano nella più grande discarica marina del mondo e provocato gravissimi danni alla salute degli abitanti delle zone costiere somale.
Il primato assoluto spetta all’ex Unione Sovietica che da sola ha smaltito 39.243 m3 di scorie in 20 siti nell’Artico e in 12 nell’Oceano Pacifico. L’esempio più preoccupante si trova nel Mare di Kara, una porzione del Mare Glaciale Artico, dove la corsa agli armamenti portata avanti dall’Unione Sovietica durante la Guerra Fredda ha lasciato una pesante eredità: 17.000 fusti di rifiuti radioattivi, 19 navi contenenti rifiuti tossici, quattordici reattori nucleari (di cui cinque contenenti combustibile nucleare esausto), 700 pezzi di armamenti contaminati e addirittura un sottomarino nucleare con i suoi due reattori.
Dal 1993 lo smaltimento in mare dei rifiuti nucleari è vietato dai trattati internazionali (Convenzione di Londra; Convenzione di Basilea; MARPOL 73/78), eppure secondo le Nazioni Unite alcune aziende occidentali hanno continuato anche successivamente a disfarsi dell’immondizia radioattiva e di altri materiali pericolosi nelle acque antistanti la Somalia. Approfittando del periodo di profonda anarchia vissuto dal paese nei primi anni ’90, sono stati affondati in quel tratto di Oceano Indiano centinaia di bidoni d’acciaio pieni di rifiuti speciali di ogni genere.Il tutto a prezzi stracciati: solo 8 dollari la tonnellata (ma c’è anche chi parla addirittura di 2,5 dollari…), quando il costo di smaltimento in Europa sarebbe potuto arrivare fino a 1000 dollari. Un affare colossale che ha trasformato il paese africano nella più grande discarica marina del mondo e provocato gravissimi danni alla salute degli abitanti delle zone costiere somale.
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