L'ultima beffa per la Sardegna, addio bonifiche per il Sulcis. Troppo silenzio intorno al decreto del fare che ci farà rimanere inquinati a vita.
di Claudia Sarritzu
In tempi di crisi si sa, l'ambiente non è mai la priorità di nessun governo. Ma questa volta la Sardegna sarà per l'ennesima volta sbeffeggiata da un decreto che non solo non incentiva le bonifiche ma addirittura attenua le responsabilità di chi ha occupato un territorio, ha fatto i profitti sulla salute e il futuro di una intera popolazione, per poi fuggire all'estero lasciando una disoccupazione giovanile record (in Sardegna è al 45%), e che ora non dovrà più temere il principio "chi inquina paga".
Ieri a Ballarò, programma serio che personalmente seguo da sempre, ci si è concentrati sul processo a Berlusconi. Notizia interessante, non lo mettiamo in dubbio.
Ma cosa significa Servizio Pubblico se non informare i telespettatori di quello che di bello ma soprattutto di brutto, per esempio, fa un Governo?
Per capire nel dettaglio che cosa c'è dentro questo decreto "del Fare", dovremmo concentrarci prima di tutto sul linguaggio. Leggendo il decreto si evince, che tutto, come accennavo nell'incipit, è giustificato dalla crisi che non permette lussi. Le bonifiche sono diventate in Italia un lusso, peccato che invece, queste, significano posti di lavoro e punto di partenza da cui immaginare la rinascita economica. Prendiamo a esempio il Sulcis, territorio profondamente inquinato dalle miniere prima e dalle fabbriche poi, che si può scordare un futuro concreto nel turismo e nell'agricoltura.
Parliamo delle contaminazione delle falde acquifere: "Nei casi in cui le acque di falda contaminate determinano una situazione di rischio sanitario, oltre all'eliminazione della fonte di contaminazione ove possibile ed economicamente sostenibile, devono essere adottate misure di attenuazione della diffusione della contaminazione conformi alle finalità generali e agli obiettivi di tutela, conservazione e risparmio delle risorse idriche stabiliti dalla parte terza". In corsivo ho sottolineato un passaggio linguistico che cambia totalmente la norma in vigore e che a mio parere è molto pericoloso. Non solo, con la modifica dell'articolo, gli interventi di bonifica passano da "rimozione delle fonti inquinanti" a "attenuamento della diffusione della contaminazione", ma la bonifica diventa non più la norma, il punto di rilancio di un territorio e della sua gente, ma un'emergenza se questa è tale da risolvere solo se l'impresa economicamente se ne può occupare. Nel Paese degli avvocati, non conta infatti il buon senso ma conta il cavillo, e una norma scritta così permette a qualunque multinazionale di perseverare nella colonizzazione di regioni come la nostra e nel disinteressarsi del futuro della popolazione indigena.
Infatti territori come il Sulcis, Porto Torres, Taranto, Marghera che attendono da anni le bonifiche e i risanamenti, non saranno più in possesso di un diritto, perché le grandi imprese non sono più costrette a metterle in atto queste bonifiche.
Fare un servizio pubblico è purtroppo raccontare questo, non solo i processi di un uomo che ha fatto la sua bella vita e non ha mai subito i soprusi che una Terra come la nostra da secoli deve digerire. Modestamente, la penso così.
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Eco(R)esistenza
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