di Marina Ranucci
MILANO. 30 giugno 2013 - Una recente indagine dell’Agenzia regionale della Sanità toscana mostra che oltre il 20-25% della popolazione si cura con piante ed erbe tradizionali. Da impacchi a tisane, da cataplasmi a pomate e impiastri,
sono moltissimi gli italiani fedeli a tradizioni locali che la medicina classica ignora. Insomma la medicina moderna sembra essere a serio rischio lasciando sempre più spazio alle cosiddette “discipline alternative”, che vanno dall’omeopatia alla fitoterapia, alla chiropratica. «Nel nostro Paese la quota di chi sceglie vie diverse dalla medicina ufficiale supera ormai il 20%. Più di un connazionale su 5» spiega Gilberto Corbellini, professore di storia della medicina e docente di bioetica all’Università Sapienza di Roma. «E i numeri aumentati negli anni, sono ancora crescita». L’esperto però, mette anche in guardia contro le insidie di quella che appare come una “fuga di massa” dalla scienza medica ufficiale. «I pericoli di questa deriva sono enormi. Il successo di questo tipo di trattamenti affonda le radici nella storia - rivela il medico - e soprattutto nei cambiamenti che si sono verificati nell’epidemiologia delle malattie». A spingere i pazienti tra le braccia dei rimedi complementari o tradizionali, ci sarebbe innanzitutto un sentimento di sfiducia verso una medicina sempre più iper-tecnologica, ma che comunque non riesce a dare risposte a tutti i mali. Di contro l’omeopatia, come le altre cure naturali, promettono un approccio dolce e rispettoso che “calamita” sempre più persone che abbandonano pratiche vissute spesso come invasive o gravate da pesanti effetti collaterali. Corbellini spiega inoltre che «la diffusione di correnti “controculturali” si nota in particolare nelle fasce di popolazione più istruite, le quali abbracciano filosofie che per principio si oppongono all’idea scientifica di “trattamento”». Ma c’è di più. Ad influire sulla scelta di rimedi alternativi ci sarebbe la crisi sempre più profonda del rapporto medico-paziente, che già di per sé può rappresenta una terapia. Ma attenzione ai metodi fai da te. «Una coppia toscana - rileva Fabio Firenzuoli, medico chirurgo, esperto in fitoterapia e fitovigilanza del Centro di medicina integrativa dell’Azienda ospedaliero-universitaria Careggi di Firenze - utilizzava il “camedrio” coltivato in giardino per curare le emorroidi. Ebbene, il consumo di questa pianta tossica li ha portati all’epatite». Insomma, la conoscenza, anche delle cure naturali, gioca un ruolo fondamentale. Quindi è sempre meglio affidarsi a degli esperti. «Il problema è che erbe e piante contengono principi attivi che possono rivelarsi tossici o interagire con farmaci tradizionali - afferma Firenzuoli - addirittura modificandone la cinetica o annullandone l’efficacia. Ecco perché – conclude - con erbe e rimedi della tradizione popolare occorre cautela». Secondo gli esperti per riconquistare i pazienti occorre partire dai giovani medici, i quali devono lavorare sui motivi della sempre più sviluppata fuga dalla medicina. «Oggi, invece - chiosa Gilberto Corbellini – l’impressione è che per arginare questa fuga, la medicina ufficiale si stia aprendo a quella alternativa». «Da un lato - continua - lo fa per evitare che i pazienti possano finire in mani sbagliate, ma così si rischia di sviluppare un contesto in cui i giovani medici possano essere stimolati ad assecondare queste pratiche, intravedendo guadagni o altre ricadute positive». In questo momento dunque, occorre investire sulla formazione medica in Italia, probabilmente non adeguata a prevenire la deriva della medicina moderna.
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