D'un tratto nel folto bosco

Non c’era nessuno in tutto il paese che potesse insegnare ai bambini che la realtà non è soltanto quello che l’occhio vede e l’orecchio ode e la mano può toccare, bensì anche quel che sta nascosto alla vista e al tatto, e si svela ogni tanto, solo per un momento, a chi lo cerca con gli occhi della mente e a chi sa ascoltare e udire con le orecchie dell’animo e toccare con le dita del pensiero.
Amos Oz


giovedì 4 luglio 2013

Nessuna apertura dal Governo: i poligoni sardi sono «imprescindibili»

da Arrèxini
La risposta del Governo all’interpellanza del deputato sardo di Sel, Michele Piras sulla possibile apertura di «un percorso condiviso che conduca alla ridefinizione della presenza militare nell’isola ed a un principio di dismissione di basi e poligoni militari che, da decenni, segnano il territorio sardo» non lascia spazio a illusioni, se qualcuno riteneva che potessero essercene dopo 60 anni di occupazione militare.
Per il sottosegretario di Stato per la Difesa Gioacchino Alfano infatti «il Poligono interforze di Quirra riveste carattere di unicità nel panorama nazionale per la capacità di soddisfare le esigenze di sperimentazione necessarie all’acquisizione di sistemi d’arma complessi: le attività sono, dunque, intrinsecamente e strategicamente legate ad interessi “duali” del settore tecnico-industriale. Per sua natura e per la favorevole posizione geografica, possiede alcune peculiarità fondamentali». Rispetto ai danni alla salute della popolazione ribadisce che «presso i poligoni militari sono vietate tutte le attività suscettibili di arrecare direttamente grave pregiudizio alla salute e all’ambiente» e in relazione all’incidenza anomala di leucemie e malformazioni «non sono noti dati sistematici sul fenomeno, non risulta suffragata da alcun dato scientifico attendibile, né risultano agli atti del preposto Osservatorio della difesa segnalazioni in tal senso. Attualmente, in carenza di elementi definitivi e certi riguardo alla sussistenza di una significativa incidenza e prevalenza di patologie tumorali nei residenti nel territorio e ai decessi per tali cause, è impossibile mettere in correlazione gli elementi di conoscenza sin qui acquisiti con le attività svolte presso il poligono di Quirra».
Insomma, nonostante il processo in corso per disastro ambientale e ancor più, nonostante la consapevolezza di ogni singolo sardo riguardo alle conseguenze della presenza del poligono, a Quirra non succede nulla: se ci sono anomale incidenze di patologie mediche- e di questo il Governo dubita, d’altra parte l’Osservatorio della Difesa non ne ha mai segnalato – non è detto che c’entrino con le sperimentazioni, che vengono svolte nel totale rispetto della salute e dell’ambiente.
Se Quirra è fondamentale, ci sono invece delle aperture per Teulada e Capo Frasca? Neanche per idea, perché «la loro disponibilità risulta essenziale per lo svolgimento di attività addestrative e sperimentali, assolutamente imprescindibili per il corretto approntamento dello strumento militare e per l’impiego operativo in condizioni di sicurezza del personale militare, attualmente impiegato in una molteplicità di missioni internazionali particolarmente impegnative».
Quirra, Teulada e Capo Frasca sono imprescindibili: basterà questa chiara risposta a chi ancora ritiene che la presenza militare italiana e internazionale nell’isola possa essere oggetto di concertazione? Per Michele Piras «La risposta è stata disarmante e lascia un senso profondo di rabbia. Ancora una volta si nega l’evidenza del drammatico impatto ambientale, si minimizzano gli effetti nefasti delle esercitazioni militari sulla salute delle popolazioni locali e non si riscontra alcuna apprezzabile apertura sul tema della dismissione – almeno parziale – e delle bonifiche. Insomma, una contraddizione stridente. Nessuna apertura».
Nessuna contraddizione in realtà per uno Stato che volutamente stabilisce all’interno dei suoi confini l’istituzione di zone da asservire agli interessi del kombinat industriale e militare, e piega a questa esigenza la salute, l’economia e la stessa dignità delle popolazioni che le abitano, portate a chiedere una “ridefinizione” dell’avvelenamento, ambientale e sociale, del loro territorio.

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