di Gabriella Meroni
La Charity Commission aveva concesso lo status di non profit a un’associazione legata al gruppo, i cui meeting sono riservati e che secondo alcuni assomiglia più a una setta che a una lobby. Ora però un ricorso chiede di riesaminare la decisione: i fini dell’associazione sono davvero di pubblica utilità?
Il gruppo Bilderberg non smette di far parlare di sé, e questa volta finisce sotto i riflettori in Gran Bretagna a causa del riconoscimento da parte della Charity Commission dello status di non profit a una sua emanazione, la Bilderberg Association.
Come si ricorderà, il gruppo Bilderberg è quell’accolita di potenti (circa 130, provenienti in maggioranza dai paesi anglosassoni e occidentali) che si riunisce una volta l’anno in via riservata per discutere di problemi mondiali. Per alcuni si tratta però di qualcosa di diverso e più inquietante: una sorta di setta di superpotenti che si accordano segretamente per dirigere le sorti del mondo e dell’economia a loro vantaggio. Una leggenda, o teoria del complotto, resa più credibile probabilmente da un fatto indiscutibile: i meeting del gruppo sono chiusi a pubblico e stampa, e nulla trapela di quanto viene trattato nel corso degli incontri.
L’ultimo meeting si è tenuto a inizio giugno in Inghilterra, e vi hanno partecipato anche i 6 italiani membri, ovvero l’ex premier Mario Monti (nella foto), la giornalista Lilli Gruber, l’amministratore delegato di Telecom Italia Franco Bernabè, quello di Intesa San Paolo Enrico Tommaso Cucchiani, Alberto Nagel (ceo di Mediobanca) e Gianfelice Rocca (presidente di Techint Group). Assente invece il premier Enrico Letta, che aveva partecipato alla riunione del 2012.
Il Bilderberg però ha anche un ramo “charity”, ovvero la Bilderberg Association, che si è guadagnata nel 2012 il riconoscimento di non profit dalla Charity Commission dopo una istruttoria che ne ha esaminato i conti. Ora però proprio davanti alla Commissione pende un ricorso che mira a togliere lo status di charity all’associazione visto che secondo i ricorrenti (comuni cittadini di cui non sono stati resi noti i nomi) l’associazione non avrebbe altro scopo se non quello di raccogliere fondi per organizzare gli incontri annuali del Bilderberg stesso.
Legge britannica è molto chiara nello stabilire i requisiti per essere charity (e quindi per godere di benefici fiscali): bisogna “perseguire fini di pubblica utilità” come per esempio “promuovere l’istruzione, la religione o ridurre la povertà”. Inoltre la Charity Commission ha scritto nero su bianco che “i fini politici” non possono essere considerati caritatevoli perché “non di pubblico interesse”.
Nello statuto della Bilderberg Association (i cui donatori principali sono Goldman Sachs e British Petroleum) si legge invece che gli scopi dell’organizzazione sono “promuovere lo studio dell’economia, degli affari internazionali e delle scienze sociali” oltre a“organizzare incontri e conferenze in Gran Bretagna e altrove e diffonderne i risutati attraverso la pubblicazione di relazioni su tali incontri”. Peccato che il gruppo Bilderberg (alla cui testa c’è un comitato formato da tre persone) non abbia mai pubblicato nessuna relazione sui propri incontri, né abbia mai risposto a domande dei giornalisti sul tema; neppure Downing Street, pur interpellata dalla stampa, ha ritenuto di dover rendere pubblico l’intervento del premier David Cameron all’ultimo incontro di giugno.
Può un’associazione di questo tipo continuare a fregiarsi dello status di charity? La Charity Commission ha 15 giorni di tempo per rispondere a questa domanda.
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