Per la prima volta da molti anni, è #Pechino a praticare quella “#svalutazione competitiva” che era stata sperimentata prima dal #dollaro e poi dallo #yen giapponese. Da due giorni il Wall Street Journal denuncia le manovre cinesi che spingono al ribasso lo Yuan per rilanciare l’export e restituire vigore a un’economia in difficoltà. Dure reazioni politiche da deputati e senatori Usa, che invocano gli accordi secondo cui lo Yuan doveva diventare una moneta liberalizzata, con un valore fissato dalle forze di mercato e non da decisioni governative.
“Liberalizzazione” dei mercati vuol dire affidare le sorti economiche di un paese alla finaza, e quindi agli USA. E’ la “nuova colonizzazione”. Perché non dovrebbe essere lecito per un governo svalutare la propria moneta per dare un impulso alla propria economia e all’export? La risposta è facile: perché a guadagnarci sarebbe lo Stato, invece che i soliti “85 Paperoni” che da soli detengono la stessa ricchezza della metà più povera del pianeta (banchieri e finanzieri).
Per la cronaca: la sola svalutazione della moneta cinese, con l’euro che s’impenna, potrebbe costare all’Italia 30 miliardi di mancato export.
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